Il
16 aprile, per me, è una ricorrenza particolare, anche se tutto ebbe inizio
solo qualche anno fa.
E’
il 6 aprile del 2008 quando, contro tutto e tutti, prendendo il coraggio a due mani riesco a comprare la mia prima moto.
In
famiglia non ci sono centauri e le due ruote, come per chi non c’è mai salito,
sono considerate un inutile pericolo. E’ difficile spiegare cosa significhi
“moto” a chi non la conosce, quattro lettere che non esprimono solo un mezzo ma
un modo di spostarsi, una filosofia di vita.
Ricordo
ancora il gelo la sera in cui, a casa, annunciai il mio acquisto: una Suzuki
SV650S usata e comprata con i soldi meticolosamente risparmiati.
La
mia passione per le due ruote non è storica è piuttosto recente ma ugualmente
profonda, portata alla luce da tre amici, quelli che sono, oggi, i miei
compagni di viaggio o meglio che mi hanno fatto diventare il loro compagno di
viaggio. Sapevano, però, che avevo commesso un errore, una moto stradale è più
complicata da portare, è più scomoda per i viaggi, ma soprattutto avevano
capito che non era in sintonia con il mio modo d’essere.
Ma
quando uno ha la testa dura, sono solo gli eventi che possono farti capire e
così accadde. Il 16 aprile, ben dieci giorni dopo il mio agognato acquisto ebbi
un incidente, moto distrutta e gamba ingessata.
I
te l’avevo detto e gli indici puntati fioccavano da tutte le parti e così
credetti di aver concluso i miei giorni da centauro.
Ancora
una volta non avevo capito e nonostante nel 2010 dovetti vedere i miei tre
futuri compagni di viaggio partire per la Turchia è nel 2011 che gli eventi,
ancora una volta presero il sopravvento.
C’è un tizio, uno che ha acquistato di seconda
mano una moto da enduro ma che dopo poco ha mollato il tiro, mi viene detto, ma
che fine abbia fatto la moto non si sa bisognerebbe provare a sentirlo.
La moto c’è, da circa un anno e mezzo mollata
in garage, così, dopo un’uscita, dimenticata e abbandonata. E’ una Yamaha XT660Z, un Tènèrè, nome
sconosciuto ai più ma che tra le moto è un simbolo, un’icona, il solo
pronunciarla rievoca viaggi in terre lontane sotto il caldo e torrido sole
africano lungo piste di terra e sabbia.
Ragnatele,
fango e polvere la ricoprono, sembra un fossile, un insetto nell’ambra ed un
misto di entusiasmo e timore mi assalgono: è alta, è grossa e nonostante
l’aspetto smesso ne percepisco la fierezza. Sarà adatta a me? Sarò in grado?
Ma tutto cessa quando, inserita la chiave,
senza un minimo di esitazione il motore si risveglia; ogni timore, ogni
inibizione in un attimo svaniscono, ci siamo trovati e siamo entrambi rinati è
il 16 aprile.
Finalmente sono un centauro, me lo dicono il
casco, i guanti, la moto, ma non è vero, non basta avere un mezzo a due ruote
per essere motociclisti bisogna avere anche la testa e poi io voglio diventare
endurista.
Ed è così che il 16 aprile del 2012 mi ritrovo
al seguito dei miei tre amici e compagni su un traghetto diretto verso la
Sardegna, per la mia prima vera uscita da endurista: attraversare da Nord a Sud
in linea retta l’isola, cercando quanto più sterrato possibile. Ho respirato
l’aria della Sardegna, mi sono rinfrescato con la sua acqua e ne ho assaggiata
più volte la terra.
Ed oggi, 16 aprile 2013?
Bisogna onorare il giorno: metterò il casco,
accenderò il motore e come un beduino con il suo cammello le parlerò per poi
perderci tra odori e colori e mentre le immagini scorreranno veloci, sogneremo
il prossimo viaggio, sogneremo l’Africa.